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In memoria del presidente Lincoln
di Walt Whitman

1
Quando i lillà fiorivano, l'ultima volta, nel prato davanti alla casa,

E il grande astro nel cielo d'occidente calava presto la sera,
Io ero in lutto, e sempre lo sarò, ogni volta che torni primavera.

Primavera che sempre ritorni, sempre mi porterai questa triade,
I lillà perennemente in fiore, l'astro che tramonta ad occidente,
Ed il pensiero di colui che amo.

2
Oh possente astro d'occidente tramontato!

Oh notte piena d'ombre - notte cupa e lacrimosa!
Oh grande astro scomparso - nera-tenebra, che lo nascondi!
Oh mani crudeli che mi trattengono impotente - anima mia smarrita!
Oh nube gelida che mi circonda e paralizza la mia anima!

3
Nel recinto davanti ad una vecchia casa di campagna, presso la staccionata dipinta di bianco,

Cresce una pianta di lillà, alta, con le foglie a forma di cuore d'un verde intenso,
E molti grappoli di fiori, delicati, dal profumo acuto che amo,
Ogni foglia un miracolo - e là in quel prato davanti a quella casa,
Da quella pianta dai fiori dal colore delicato, con le foglie a forma di cuore d'un verde intenso,
Stacco un rametto fiorito.

4
Nella palude, in un angolo remoto,

Gorgheggia un timido uccello.

Solitario il tordo,
L'eremita chiuso in sé, che evita i luoghi abitati,
Canta per sé una canzone.

Canzone della gola sanguinante,
Canto di vita che sgorga dalla morte (perché so bene, fratello,
Se non ti fosse concesso di cantare sicuramente ne morresti).

5
Sul petto della primavera, per tutto il paese, in mezzo alle città,

Lungo sentieri e attraverso i vecchi boschi, dove occhieggiava poco fa la violetta, macchiettando i grigi detriti,
In mezzo all'erba nei campi ai due lati dei sentieri, passando tra l'erba senza fine,
Passando tra i gialli germogli del grano, ogni chicco risorto dal suo bruno sudario,
Passando tra i meli nei frutteti, fioriti di bianco e di rosa,
Recando un corpo alla tomba dove potrà riposare,
Notte e giorno viaggia una bara.

6
Bara che passi lungo strade e sentieri,

Notte e giorno, con una grande nuvola nera che oscura tutto il paese,
Con la pompa delle bandiere abbrunate, delle città parate a lutto,
Con gli Stati schierati come donne velate di nero,
Con i lunghi cortei serpeggianti, le fiaccolate notturne,
Con infinite torce accese, il mare silenzioso dei volti e delle testel scoperte,
Con la stazione in attesa, la bara che arriva, i visi cupi e dolenti,
Con gli inni funebri echeggianti nella notte, le mille voci che si levano forti e solenni,
Con tutte le voci di compianto degli inni intorno alla bara,
Le luci fioche delle chiese, il tremolo degli organi - là dove viaggi in mezzo a tutto questo,

Tra il perpetuo clangore di campane che rintoccano rintoccano,
Su te, bara che lentamente passi,
Depongo il mio rametto di lillà.

7
(Non a te solo, non per uno soltanto,

Ma su tutte le bare io reco fiori e verdi rami,
Perché un canto vorrei intonare per te, fresco come il mattino, sacra e saggia morte.

Bouquet di rose da per tutto, oh morte,
E io di rose ti ricopro e di gigli precoci,
Ma soprattutto di lillà, che sono i primi a fiorire,
Ne coglierò tanti, spezzando i rametti dagli arbusti,
E a braccia colme arriverò per versarli su di te
E sopra tutte le tue bare, oh morte.)

8
Orbe dell'occidente che veleggi nei cieli,

Ora so quello che volevi dire, quando, ora è un mese, vagavo,
Camminando in silenzio tra le ombre trasparenti della notte,
Capii che avevi qualcosa da dirmi, mentre scendevi verso me, notte dopo notte,
Mentre calavi dal cielo come per metterti al mio fianco (e le altre stelle stavano tutte a guardare),
Mentre erravamo insieme nella notte solenne (perché qualcosa d'ignoto mi teneva lontano dal sonno),

Mentre la notte avanzava, e io vedevo a occidente, all'orizzonte, come eri colma di dolore,
E io ti guardavo, in piedi su un'altura, nella brezza, nella notte fresca e trasparente,
Ti guardavo passare e mi perdevo nel nero più denso della notte,
E l'anima mia sconsolata nel suo tormento sembrava inabissarsi, dove tu, orbe mesto,
Concluso il viaggio, cadevi nella notte, e scomparivi.

9
Continua a cantare, laggiù nella palude,

Cantore timido e tenero, io odo le tue note, odo il tuo richiamo,
Lo odo e ti comprendo, verrò presto,
Ma mi soffermo un istante, perché l'astro lucente mi ha fermato,
L'astro, il mio camerata che parte, mi stringe a sé e mi trattiene.

10
Oh, in che modo devo gorgheggiare per quel morto che amavo?

Come devo abbellire il mio canto per la grande, dolce anima partita?
E quale sarà il mio profumo per la tomba dell'uomo che amavo?

Venti marini, soffiati da est e da ovest,
Soffiati dal mare orientale e soffiati dal mare
occidentale, per incontrarsi qui, lungo le praterie,

Di voi, e con voi, e col respiro del mio canto,
Profumerò la tomba di colui che io amo.

11
Oh, che cosa posso appendere ai muri della stanza?

Quali saranno i dipinti che appenderò alle pareti
Per adornare il sepolcro di colui che amo?

Quadri di primavere in fiore e case e fattorie,
Sere del Quarto-mese al tramonto, con grigi vapori
trasparenti e luminosi,

Torrenti d'oro giallo del sontuoso, indolente, declinante
sole che arde e inonda l'aria,

Con la dolce erba fresca sotto i piedi, le foglie verde
tenero dei fertili alberi,

E in lontananza la patina fluida, la curva del fiume, qua e là screziata dal vento,
Con le colline schierate sulle rive, profili contro il cielo, e ombre,
E la città vicina con tante case, e gruppi di ciminiere,
E tutte le scene della vita e delle officine, e gli operai che
ritornano a casa.

12
Guarda, oh corpo e anima mia - questa terra,

La mia Manhattan con le sue guglie, le rapide scintillanti
correnti, le navi,

La vasta e mutevole terra, il Nord e il Sud in piena luce,
le rive dell'Ohio e il lampeggiante Missouri,

E ovunque le immense praterie coperte d'erba e
di grano.


Guarda, il sole più eccelso così calmo e orgoglioso,
I mattini porpora e viola con brezze che appena si sentono,
La mite luce infinita che nasce a poco a poco,
Il miracolo che si diffonde inondando ogni cosa, il pieno
mezzogiorno,

La sera che arriva soavemente, la notte benvenuta, e le stelle
Che splendono tutte sopra le mie città, e avvolgono uomini e terre.

Canta, canta, uccello grigio e bruno,
Canta dalle paludi, dai recessi, versa il tuo canto dai
cespugli,

All'infinito, fuori dall'ombra, fuori dai cedri e dai pini.

Canta, fratello diletto, gorgheggia il tuo canto flautato,
Umano limpido canto, con voce di profonda mestizia.

Oh liquido e libero e tenero!
Così ardito e selvaggio alla mia anima - prodigioso cantore!
Te solo ascolterei - l'astro ancora mi trattiene (ma
presto sparirà),

Il lillà mi trattiene col suo profumo che sovrasta ogni altro.

14
Mentre sedevo, quel giorno, e guardavo avanti a me,

Verso la fine del giorno con la sua luce e i campi
di primavera, e i contadini che preparavano le messi,

Nel vasto inconsapevole paesaggio della mia terra con i
suoi laghi e le foreste,


Nella celeste bellezza dell'aria (dopo i venti turbolenti e
i temporali),

Sotto la volta del cielo del pomeriggio che trascorreva
veloce, e le voci dei bimbi e delle donne,


E le maree sempre in moto, e io vedevo le navi che salpavano,
L'estate approssimarsi con tutte le sue ricchezze, i campi fervidi di opere,
Le case sparse, infinite, coi loro pasti e le minuzie del viver quotidiano,
E le strade palpitanti di vita, e le città segregate - ecco, improvvisa,
Cadendo su tutto e in mezzo a tutto, avviluppando me e ogni cosa,
Apparve la nuvola, apparve la sua lunga coda nera,
E io conobbi la morte, il suo pensiero, e la sacra consapevolezza della morte.

Allora, come se la coscienza della morte camminasse al mio fianco,
Ed il pensiero della morte mi seguisse dall'altro,
E io in mezzo, come tra compagni, come stringendo le mani di compagni,
Fuggii nella notte che nasconde ed accoglie e che non parla,
Corsi alle rive dell'acqua, al sentiero che borda la palude, nel buio,
Verso le ombre solenni dei cedri e dei mistici pini, così immobili e sereni.
E il cantore mi accolse, cosi restìo con gli altri,
L'uccello grigiobruno che conosco accolse me e i miei due compagni,
E cantò un cantico di morte, ed un versetto per colui che amo.

Dai profondi isolati recessi,
Dai cedri odorosi e dai mistici pini così immobili,
Si levò il canto dell'uccello.

E l'incanto del canto mi rapì
I miei camerati mentre tenevo come per mano nella notte,
E la voce del mio spirito si accordava col canto dell'uccello.

Vieni, leggiadra consolatrice morte,
Ondeggia intorno al mondo, arrivando serena,
Di giorno o di notte arrivando, a tutti e a ciascuno,
A chi presto a chi più tardi, morte gentile.

Lodato sia l'insondabile universo
Per la vita e la gioia, e per gli oggetti e il sapere curiosi,
E per l'amore, per il dolcissimo amore - ma sia tre volte lodato
Per le fresche, avvolgenti, sicure braccia della morte.

Nera madre che sempre ci scivoli accanto con passo leggero,
Nessuno t'ha mai cantato un canto di caldo benvenuto?
Lo farò io, allora, per esaltarti al di sopra d'ogni cosa,
Ti offro un canto affinché, quando dovrai davvero venire,
tu venga senza esitare.


Avvicìnati, grande liberatrice,
Quando li hai presi con te, io canto gioiosamente i morti
Che fluttuano perduti nel tuo amoroso oceano,
Lavati dalle onde della tua beatitudine, oh morte.

Da me avrai liete serenate,
E proposte di balli in tuo onore, e feste, e addobbi,
E panorami di liberi paesaggi, e il cielo in alto disteso,
che meglio a te si confanno,

E la vita nei campi, e la notte immensa e pensosa.

La notte tacita sotto infinite stelle,
Le rive dell'oceano e il rauco murmure dell'onda di cui conosco la voce,
E l'anima che a te si rivolge, oh morte immensa e velata,
E il corpo che si annida accanto a te, colmo di gratitudine.

Sopra le cime degli alberi diffondo un canto per te,
Sopra le onde che s'alzano e s'abbassano, sui campi
innumerevoli e le ampie praterie,

Sulle città sovraffollate, sui moli brulicanti e le strade,
Diffondo quest'inno con gioia, per te, morte, con gioia.

15
Con voce alta e sicura,

All'unisono con la mia anima, cantava l'uccello grigiobruno,
Con note pure e studiate, dilungandosi, riempiendo la notte.

A voce alta nel buio dei pini e dei cedri,
Limpida nell'aria umida e fresca, nell'odore della palude,
E noi là, nella notte, io e i miei camerati.

E la mia vista, intanto, ch'era bendata nei miei occhi si aprì
Come ad un lungo susseguirsi di visioni.

Vedevo come di sbieco gli eserciti,
E come in un sogno silenzioso vedevo centinaia di bandiere
Agitarsi nel fumo della battaglia, e le vedevo forate da proiettili,
Portate qua e là attraverso il fumo, lacere, insanguinate,
Ridotte a pochi brandelli attaccati alle aste (e tutto nel silenzio),
E le aste tutte rotte e scheggiate.

E vedevo i cadaveri della battaglia, ne vedevo miriadi,
E bianchi scheletri di giovani, vedevo,
Vedevo i loro resti, e i resti di tutti i soldati uccisi in guerra,
Ma non erano come si credeva,
Erano in pace perfetta, non soffrivano,
Soffrivano i vivi che restavano, le madri soffrivano,
Le mogli e i figli soffrivano e il camerata pensoso,
E gli eserciti che restavano soffrivano.

Svanite le visioni, dileguata la notte,
Sciolta la stretta delle mani dei miei due camerati,
Svanito il canto del tordo eremita, e il canto all'unisono della mia anima,
Canto vittorioso, canto di sfogo della morte, eppure vario e mutevole canto,
Come sommesso lamento, eppure chiare le sue note,
che s'innalzano e scendono e inondano la notte,


Tristemente calando, svanendo, come ammonissero
e avvertissero, per subito erompere di gioia,

Coprendo la terra, colmando la distesa dei cieli,
Come quel salmo possente che ho udito dai recessi nella notte,
Lontanando, ti lascio, con le tue foglie a forma di cuore,
Là nel prato davanti alla casa, lillà in fiore, che sempre
ritorni a primavera.


E metto fine al mio canto per te,
Al mio contemplarti a occidente, al mio guardare
l'occidente, in comunione con te,
Camerata che illumini la notte con il tuo volto
d'argento.
Eppure serbo ogni cosa recuperata dalla notte,
Il canto, il canto prodigioso dell'uccello grigiobruno
E il canto concordante, l'eco destata nel mio spirito,
E insieme l'astro lucente che tramontava colmo di
tristezza,
E chi mi teneva per mano avvicinandoci al canto
dell'uccello,
Compagni miei, e io in mezzo a loro, e la loro memoria
da mantenere sempre, per il morto che tanto
amavo,
Per l'anima più soave e più saggia di tutti i miei giorni e
le mie terre: per il suo amato ricordo,
Lillà, astro ed uccello intrecciati laggiù con il canto della
mia anima,
Là nei pini odorosi, nei cedri neri e velati.

1865-6

da Foglie d'erba

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