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Poesia di Gian Luigi Bonardi 
Gita al parco di Plitvice 


Anche questa mattina è l’occasione
di precedere il pullman della gita,
e sarà forse l’ultima emozione
d’un’avventura quasi ormai finita.
A Plitvice vi son sedici laghi
collegati fra loro da cascate,
luoghi di fate, di folletti e maghi
forse abitanti le grotte incantate.
Il simbolo imperante, in legno, è un orso,
posto proprio all’inizio del sentiero.
Due gruppi son divisi sul percorso,
pochi, con noi, lo fanno per intero.
Nei laghi ci si specchia, e se cammini
gruppi di pesci seguono i tuoi passi,
forse attendono cibo, e stan vicini,
allineati sopra alghe e sassi.
Le cascatelle sono l’emozione
che più attira lo sguardo del turista,
le foto al giorno son più di un milione,
anche le nostre sono nella lista.
Mi trovo solo, e al limite del lago,
papera e paperino stanno accanto
inseguendo il mio passo ed il mio svago;
scatto una foto che sarà uno schianto.
Poi sono spruzzi d’acqua trasparente,
lumache, erbe e fiori infradiciati,
un punto di ristoro, tanta gente
il traghetto tra i fiordi inalberati.
Ad un quarto di strada l’altro gruppo
ci scende incontro, mentre noi saliamo,
consci che dell’età dello sviluppo
non siam più schiavi, e un po’ ce ne vantiamo.
“Attenti, che c’è ancora tanta strada
chissà se giù per tempo arriverete!”
Passo più svelto, tanto, mal che vada,
“se ritardiamo voi ci aspetterete!”
In breve tempo il percorso finisce,
ci mescoliamo a gruppi del Giappone
tutti con un sorriso che stupisce
stampato in volto, senza un’emozione.
Sul trenino a motore del ritorno
Maria Adelaide insegna ai ragazzini,
che le si fanno tutti quanti attorno,
a pronunciar tutti i numeri primi
dall’uno al dieci in perfetto italiano;
e i piccoli croati fanno coro
nel ripeterli insieme, con baccano,
passandoseli a voce tra di loro.
Vorrei saper da una giapponesina
come pronuncia “remo” il sol levante,
ma un immobile e dolce risatina
blocca il mio modo d’essere galante

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